Una casa che non è una casa
Un numero di Sasso d'Adige speciale, dedicato a un mini-documentario video che mette insieme due questioni calde: l'emergenza abitativa e le migrazioni.
Sasso d’Adige n.76
A due passi dal centro di Verona, un vecchio magazzino ospita decine di persone migranti che, pur lavorando, non riescono a trovare una casa.
Si tratta del “Ghibellin Fuggiasco”, un appoggio di fortuna messo in piedi dagli attivisti del Laboratorio autogestito Paratodos, visto che quello stabile, in corso Venezia, a due passi da Porta Vescovo e a quattro dal centro storico, era abbandonato da decenni.
Per raccontare quello che sta succedendo è nato “Una casa che non è una casa”, un progetto di Sasso d’Adige, curato da Alessandro Bonfante e Lucrezia Messina. È in collaborazione con Heraldo, dove è uscito ieri l’articolo che presenta il video con le interviste. Video, estratti ed extra anche su Instagram.
Lascio parlare le immagini e le parole dei protagonisti, ma prima del video aggiungo solo una nota, una nota amara.
Sono passati quasi tre mesi da quando abbiamo iniziato a organizzare questo progetto, e le interviste sono state realizzate due mesi fa, il 21 ottobre. Non potevo immaginare che sarebbe uscito proprio nel momento in cui Verona si trova di nuovo a fare i conti un ragazzo morto per strada.
«Abdeljalil Bendaoud è morto a soli 27 anni all’interno di un vagone abbandonato nella stazione di Verona Porta Nuova. Il corpo senza vita del ragazzo marocchino è stato trovato lo scorso 10 dicembre, con ogni probabilità la morte è sopraggiunta a causa del freddo. Bendaoud era uno dei giovani migranti arrivati in Italia per cercare un futuro migliore, uno dei tanti rimasti esclusi dal sistema di accoglienza».
(Corriere del Trentino)
Proprio l’altro ieri, nella sera di giovedì 21 dicembre, mentre il consiglio comunale di Verona si preparava ad approvare il bilancio previsionale 2024-2026, un gruppo di cittadini, attivisti e associazioni hanno manifestato davanti a una scala laterale di Palazzo Barbieri per chiedere misure urgenti e concrete all’amministrazione.
Riporto alcuni passaggi della lettera che hanno letto in apertura al presidio, indirizzata al consiglio comunale di Verona e intitolata “Avevo freddo e non mi avete accolto”.
«Scriviamo con la rabbia di chi sente di aver assistito alla morte di una persona che poteva essere salvata, ma che nella realtà è rimasta invisibile ai servizi. Questi ultimi dovrebbero darsi l’obbiettivo di riuscire ad intercettare e proporre soluzioni alternative a quella di dormire in un vagone di un treno abbandonato o in strada».
«È molto difficile trovare un posto letto in dormitorio o un'accoglienza degna, così come è complesso il percorso verso la regolarizzazione. Queste difficoltà favoriscono lo sfruttamento nelle campagne della provincia o tra le maglie della criminalità».
«È molto difficile trovare un posto letto in dormitorio o un'accoglienza degna, così come è complesso il percorso verso la regolarizzazione. Queste difficoltà favoriscono lo sfruttamento nelle campagne della provincia o tra le maglie della criminalità».
Bougou Dembele e Philip Gabi, intervistati nel video “Una casa che non è una casa”, sono in Italia da anni. E lavorano qui da anni. Però sono costretti a vivere in quell’alloggio di fortuna (vedrete nel video che “di fortuna” è un eufemismo), perché – pur lavorando e avendo uno stipendio fisso – non riescono a farsi affittare un appartamento.
Si parla sempre di integrazione, ma che integrazione possono avere se, tornati dal lavoro, vanno a dormire in un paio di stanzoni con altre 50 persone, senza un impianto di riscaldamento e con due docce ammuffite con l’acqua scaldata a legna?
Questa domanda è retorica, le parole nel video per nulla.
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